09.01.2013 – Nel corso degli anni l’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi Civili (ANMIC) ha assistito nel nostro paese a continui voltafaccia con i quali si è cercato di indebolire, se non di annullare, diritti riconosciuti dal legislatore in favore degli invalidi civili conquistati a prezzo di dure, durissime lotte.
A volte per iniziativa dello stesso legislatore, a volte dei giudici, a volte dei Ministeri, a volte degli istituti previdenziali, l’ANMIC ha assistito al susseguirsi di norme, sentenze, pareri, spesso tra loro contrastanti, con cui ostinatamente si è contraddetto quanto era stato appena prima deciso.
Tutto questo con l’obiettivo di ridimensionare se non di annullare, conquiste economiche, sociali e, prima di tutto, di dignità che gli invalidi erano riusciti ad ottenere.
La storia si ripete anche nel 2013; infatti, utilizzando una sentenza della Corte di Cassazione del febbraio 2011, l’INPS ha diramato il 28 dicembre 2012 (dunque quasi due anni dopo!) una circolare con cui stabilisce che il limite reddituale da non superare da parte degli invalidi totali per fruire della pensione va definito tenendo conto, oltre che, com’è naturale, del reddito dell’invalido, anche di quello del coniuge. Si introduce così una netta differenza col regime previsto per gli invalidi parziali (con grado di minorazione dal 74 al 99%) per i quali invece i redditi del coniuge non vanno computati.
Con la sentenza del febbraio 2011 la Corte di Cassazione, pur in contrasto con altre sentenze dalla stessa adottate, nel 2008, 2009 e 2010, ha affermato che la diversità di disciplina tra invalidi totali e parziali è stata introdotta dalla legge n.133 del 1980, con la quale solo per gli invalidi parziali sarebbe stato eliminato il riferimento al reddito del coniuge, prima esistente per tutti gli invalidi. E, si badi bene, la Cassazione ha ignorato un ordine del giorno approvato dal Parlamento, in occasione dell’approvazione di quella legge ed accettato dal Governo come “raccomandazione” con cui si sollecitava l’applicazione di una disciplina comune per gli invalidi, equiparazione, del resto, data per acquisita da due sentenze della Corte Costituzionale, una del 1992, l’altra del 1999. Ed invece, per effetto della sentenza, si viene a determinare un ingiustificato trattamento tra due invalidi, uno parziale, l’altro totale, titolari entrambi, per esempio, di un reddito personale di 4.000 euro l’anno, entrambi coniugati con una persona titolare, sempre per esempio, di un reddito pari a 15.000 euro, per cui il primo godrà dell’assegno mentre il secondo si vedrà negare la pensione!
Si è venuta così a determinare una situazione inaccettabile sul piano giuridico, oltre che sul piano sociale e politico, contro la quale l’ANMIC intende operare dando luogo ad una vasta campagna informativa in tutti i luoghi pubblici ed invitando gli organi elettivi a prendere posizione sull’argomento.
L’INPS che, tra le varie sentenze pronunziate sulla questione, ha scelto quella adottatta due anni fa per dare un ulteriore colpo ai diritti degli invalidi, deve essere invitata a sospendere l’efficacia della decisione presa ed attendere una interpretazione autentica del Parlamento che andrà a rinnovarsi il 24 febbraio.