Siamo stati invitati ad un corso di aggiornamento per amministratori di condominio da Anaci e collegio dei geometri. Ringraziamo il consigliere del collegio dei geometri, Fernando Delfrate, e il presidente di Anaci Parma, Francesco Negri, per l’invito.
La nostra Giulia Curzio ha illustrato le modalità di accesso ai contributi per l’abbattimento di barriere architettoniche in edifici privati.
Il nostro vicepresidente Umberto Guidoni ha riportato invece varie testimonianze di persone con disabilità che hanno avuto a che fare con dissidi tra condòmini per l’abbattimento di barriere architettoniche.
Qui sotto l’intervento integrale del vicepresidente Umberto Guidoni.

“Buongiorno a tutte e tutti,
grazie per l’invito ad intervenire in questo corso di aggiornamento, perché per noi portare una testimonianza di cultura dell’accoglienza e dell’integrazione è fondamentale. Sì, accoglienza e integrazione: di questo si tratta quando parliamo di eliminare barriere architettoniche nei condomini.

Come Anmic cerchiamo di fare cultura delle disabilità in ogni contesto possibile e siamo contenti di poterlo fare anche di fronte a voi amministratori di condominio. Perché? Perché è a casa che si vive la maggior parte della propria vita. Sono oltre il 50% degli italiani a vivere in condominio. Vivere bene dove abiti, significa, con tutta probabilità, vivere bene in generale.

Prima di passare in rassegna un po’ di testimonianze che abbiamo raccolto per poterle raccontare in questa occasione, vorrei dire una cosa che non bisogna dimenticare mai: o si torna ad intendere un condominio come una comunità, una famiglia allargata, una piccola società con regole di relazione e solidarietà, o difficilmente troveremo armonia su vari fronti, primo fra tutti quello dell’abbattimento delle barriere architettoniche. Cosa voglio dire: se stiamo nel contesto dei diritti, non avremo mai vita facile (noi disabili, voi amministratori, gli altri condomini). Se creiamo nei condomini un senso di comunità, ci saranno meno problemi per tutti. Per questo, la nostra sollecitazione è questa: voi amministratori cercate di portare tra le persone messaggi inclusivi, di integrazione e di senso di comunità e appartenenza, non semplicemente leggi, regole, preventivi e bilanci.
Passiamo ai fatti.
Luca, 8 anni fa, il primo aprile del 2012 (il primo aprile: sembra uno scherzo del destino), entra in ospedale per un’operazione di routine al ginocchio. Anestesia spinale, qualcosa va storto: Luca rimane paralizzato. Da allora vive su una carrozzina. Una moglie, due figli, un bel lavoro, un appartamento nel quartiere Montanara. Dopo la riabilitazione, al lavoro non lo vogliono più: è un tecnico commerciale molto stimato, deve dare consulenza e vendere, ma i suoi capi credono che quella carrozzina gli faccia perdere credibilità e autorevolezza. Insomma, credono che non sia più in grado di raggiungere i budget. Hanno paura che spaventi i clienti. Medioevo? No, 2012. Luca perde il lavoro. E il problema è enorme. Ma Luca ha un altro problema, quello per cui non riesce in autonomia ad accedere al proprio palazzo dal cortile. Ci sono i gradini. Questa è una testimonianza positiva, perché nella scala di Luca i gradini sono stati eliminati. Non solo: sono stati eliminati anche negli altri tre stabili, anche se non c’erano esigenze particolari, capendo che l’esigenza sarebbe potuta sopravvenire da un momento all’altro e capendo, soprattutto, che per gli anziani sarebbe stato un miglioramento della qualità di vita, anche se in quel momento non necessario. Come è stato possibile tutto questo? Luca ci ha detto che il suo condominio, da sempre, è stata una grande famiglia. E il ruolo dell’amministratore? Il più semplice di tutti, non ha fatto altro che eseguire una volontà emersa spontaneamente.

Non è andata così invece a Laura, una mia amica. Laura aveva la leucemia e aveva subito un trapianto di midollo che l’aveva costretta in carrozzina. Per entrare in casa, due rampe di scale. Chiedeva l’ascensore, ma nessuno lo voleva e la sua famiglia non aveva tutti questi soldi per pagarselo da sola. La storia si trascina, la malattia anche. Laura non rinuncia ad uscire di casa, un po’ per le cure, un po’ perché non si può negare a nessuno di avere una vita. L’aiutava suo fratello: su e giù dalle scale in spalla. Per questo, a suo fratello viene l’ernia e non può più aiutarla. Quindi fanno l’ascensore, a proprie spese, con pure qualche inquilino che pretendeva di usarlo. Laura ora non c’è più e comunque i suoi ultimi anni di vita potevano essere migliori.

Franco è un nonno di 90 anni, guida ancora, ha tre nipoti ed è lui a farsi carico di accompagnarli a scuola e a fare sport. Ha un’invalidità che non gli impedisce di essere un punto di riferimento per la sua famiglia. Cammina piano, ma un bastone gli permette di non perdere equilibrio. Sapete quanto ci ha messo per fare un corrimano in un palazzo del centro? Tre anni! Tre anni perché gli altri condomini dicevano che era brutto! Quei tre nipotini sono vivaci, fanno rumore e osano pure giocare in cortile contro ogni regolamento condominiale. La richiesta del nonno di installare un corrimano era un’occasione troppo ghiotta per vendicarsi!

Apro una parentesi: Quell’orribile divieto di non poter giocare in cortile non potrebbe diventare illegale? Dico illegale il divieto. Nei palazzi non ci sono più bambini che giocano insieme. Poi ci lamentiamo se stanno davanti alla tv o al computer o allo smartphone. Invece no: non sia mai che si sporchi il muro del cortile. Che tristezza che mi viene. Quanti legami materiali inutili, quante preoccupazioni per piccole cose… poi perdiamo i legami personali, che sono la medicina di tanti mali. Perdiamo di vista quello che conta davvero.
Va be’, chiusa parentesi.

Come Anmic, rivendichiamo sempre i diritti. Il problema è che spesso i diritti non bastano e il caso del condominio è lampante: spesso, se non hai abbastanza soldi, devi arrenderti. Dove non arrivano i diritti, arriva la solidarietà. In una comunità sana, la solidarietà esiste. Ci siamo abituati a non essere comunità, a chiuderci in casa, a diffidare di tutti, a non sapere nemmeno chi è il nostro vicino di casa.
Avete presente Giorgio? Quel signore malato di sclerosi multipla che ha fatto un viaggio incredibile ad Auschwitz, grazie all’Assistenza Pubblica e ad Anmic che hanno organizzato il viaggio? E’ stata un’avventura incredibile: un uomo che non si muove praticamente più e che era cinque anni che non usciva di casa, che voleva andare là ad ascoltare le anime di quelle persone imprigionate contro la loro volontà e senza colpe, come lui con la sua malattia. Un viaggio memorabile di un uomo che vive in Oltretorrente, al quinto piano senza ascensore. Ripeto: quinto piano, senza ascensore. Perché? Perché i diritti non arrivano ovunque. E perché questo diritto di vedere abbattute le barriere architettoniche, come abbiamo visto, ha sempre troppi “purché”. Troppe condizioni. In altre parole: purché lo vogliano gli altri.
Io vivo in una casa indipendente: quando la malattia non mi ha più permesso di camminare, la mia famiglia ha potuto fare tutti gli adeguamenti del caso. Se fossi stato in un condominio, avrei avuto vita difficilissima. Non che ora sia facile, intendiamoci!

Fin qui le testimonianze dirette. Poi ho voluto raccogliere quella di Mara, impiegata di Anmic per quasi 40 anni, che andrà in pensione tra un mese. Questa la sua testimonianza, frutto di una marea di anni a raccogliere le esigenze delle persone con disabilità: “In linea generale i condomini sono ostili, non capiscono le esigenze. A parole, sono tutti solidali, ma quando c’è da tirare fuori i quattrini si tirano tutti indietro. Di esperienze negative, purtroppo, ne abbiamo sentite tante. Il problema è che chi si trova di fronte ad una disabilità acquisita (e badate bene, anche temporanea) ha tutto fuorché voglia e tempo di far capire agli altri che le barriere vanno superate altrimenti non si può vivere decentemente. Invece si perdono energie e risorse per far riflettere le persone. E spesso si esce sconfitti”.

Questa la testimonianza di Mara e vi assicuro che ne ha viste e sentite di tutti i colori.

Prima di lasciarvi, vorrei provare a mettermi in gioco per farvi capire cosa voglio dire quando c’è bisogno degli altri. Io, per vivere, ho bisogno degli altri. Da solo, non ci riuscirei. Ho bisogno di persone che mi supportino in varie attività della mia vita quotidiana. Bene: qualcosa mi passa lo Stato, ma davvero poca roba. E non basta. Quindi interviene la mia famiglia. Perché? Perché sa che ne vale la pena. Bene: facciamo che i condomini tornino ad essere delle famiglie. Non dipende da voi, lo so. Dipende dalla cultura di un Paese civile. E’ un processo lento, forse utopistico, ma sappiamo che è l’unica strada. Ognuno faccia il suo pezzettino.

Lo diciamo sempre: se è accessibile per me è accessibile per tutti. Se è comodo per me, è comodo per tutti. Accessibile è bello. Accessibile deve essere motivo di vanto, di orgoglio. Per questo chiediamo a voi amministratori di condominio di farvi carico di una comunicazione corretta, che parli non solo di millesimi, percentuali e norme, ma anche di relazione, solidarietà e spirito di comunità. Perché è l’unico modo davvero decisivo per garantire una società inclusiva per noi persone con disabilità.

Grazie a tutti e buon proseguimento di lavori!”