sono passati 60 anni da quando è stata fondata la nostra Associazione. E’ decisamente un buon traguardo! L’Anmic è nata per “rendere esigibili i diritti riconosciuti a tutti i cittadini italiani dalla Costituzione” quindi, analizzando i risultati ottenuti possiamo essere moderatamente soddisfatti. Sono stati 60 anni di lotte, 60 anni di conquiste, 60 anni di impegno costante per raggiungere gli obiettivi che oggi l’Anmic, orgogliosamente, mette a disposizione di tutti i cittadini ed in particolare della parte più debole e più indifesa.
Lavoro, pensioni, barriere architettoniche, scuola, sport, tempo libero: queste sono state le scelte sociali delle nostre lotte, che avevano ed hanno lo scopo ultimo di migliorare la condizione di tutti. È una lotta continua per una migliore qualità della vita delle persone con disabilità quella per la quale l’Anmic da 60 anni si impegna per tutti. Si batte perché alla persona disabile venga riconosciuto un giusto posto di lavoro, confacente alle sue condizioni psicofisiche, in perfetta armonia con i dettami dell’articolo 1 comma 1 della Costituzione della Repubblica Italiana che recita: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Quando un disabile, spesso dopo una lunga attesa, viene collocato al lavoro, acquista la consapevolezza di essere un contribuente, quindi parte attiva della società e non una persona che deve vivere grazie alle provvidenze economiche che lo Stato ha previsto per lui e per tutti quelli come lui. Fortunatamente le nostre rivendicazioni trovano sostenitori nella società civile e nel mondo politico, che condividono le nostre battaglie e le supportano con atti concreti. A loro dobbiamo il nostro ringraziamento per i risultati ottenuti, come l’inasprimento delle sanzioni verso quelle ditte che non rispettano gli obblighi di assunzione previsti dalla legge 68/99.
Oggi, assieme a chi è solidale con le nostre idee, la nostra attenzione è volta a eliminare l’odiosa possibilità per i datori di lavoro, prevista dalla stessa legge, di pagare un contributo esonerativo invece di assumere le persone disabili. Come può la legge 68/99 che disciplina il collocamento lavorativo consentire di pagare invece che collocare? Non deve essere concesso a nessuno di scambiare i posti di lavoro previsti per le persone disabili con gli euro! Nessuno può permettersi di trasformare l’articolo 1 comma 1 della Costituzione come segue: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sull’euro”. Questa è una vergogna che dobbiamo cancellare il prima possibile. Credo che questa possibilità sancita dalla legge 68/99, contrasti anche con l’articolo 4 della Costituzione: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto”. Lo Stato che concede la possibilità di pagare per non assumere non rispetta questo principio costituzionale, anzi agisce esattamente nella direzione opposta. Per questo stiamo valutando la possibilità di sollecitare una questione di costituzionalità su quell’articolo della legge 68/99 in aperto contrasto con i dettami della Carta. Ma soprattutto saremo pressanti nella fase di stesura della ormai improrogabile riforma della disciplina, per cercare di evitare che questo principio, assurdo e arrogante, venga confermato nella nuova legge sull’inserimento lavorativo delle persone disabili.
Altro tema che non posso esimermi dal trattare è senza dubbio quello relativo alle pensioni di invalidità. Chiamare pensione un assegno di circa 280 euro mensili è assolutamente vergognoso e indegno di una società civile. Anche in questo caso potrei citare diversi articoli della Costituzione; mi limiterò al comma 1 dell’art. 38: “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”. Un diritto questo che non può certo dirsi esigibile: vivere dignitosamente con una cifra simile è assolutamente impossibile. Al quarto comma dello stesso articolo si legge: “Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato”. Come noi tutti ben sappiamo, a questi compiti provvedono invece famigliari e parenti, spesso costretti a enormi sacrifici, sia fisici che economici. Quante mamme hanno dovuto lasciare il lavoro per curare i loro figli? Quanti figli fanno la stessa cosa per accudire i loro genitori? Lo Stato non può ignorare questo problema, non può permettere che le famiglie si accollino i compiti che non sono in grado di svolgere o si sostituiscano ad esso quando non è capace di erogare i servizi che adempiono a diritti costituzionalmente garantiti.
L’Anmic è sempre stata, e sempre sarà, al fianco delle famiglie, per supportarle nel loro difficile compito e per chiedere a gran voce il rispetto dei diritti delle persone disabili. Diversi anni fa, nel 2008, l’Associazione raccolse oltre trecentomila firme a supporto di una proposta di legge di iniziativa popolare, per l’adeguamento delle pensioni di invalidità al livello della minima Inps. Nel 2013 la legge è finalmente arrivata all’esame della dodicesima Commissione permanente Affari Sociali della Camera dei Deputati; ancora oggi è in cima alla lista delle proposte da esaminare, è lì e lì purtroppo rimane. Quando si tratta di reperire risorse per le persone disabili, le parole che ci sentiamo ripetere sono sempre le stesse: “Crisi economica”, da sempre.
Le chiedo, signor Presidente, di interessarsi alla causa affinché vengano garantiti i diritti delle persone disabili.
Alberto Mutti
Vicepresidente nazionale Anmic
Presidente Anmic Parma