11.09.2013 – In merito alla dibattuta questione del trasferimento dei disabili nella nuova struttura di via Casaburi (nella foto), la Fondazione Tommasini e diverse Associazioni, tra cui l’Anmic, hanno sottoscritto un documento programmatico che presenteranno al Distretto per suggerire una “progettazione condivisa e partecipata sulla disabilità”.
Di seguito il documento sottoscritto:
Lo sviluppo dei servizi sociali, in particolare a partire dagli anni settanta del secolo scorso, ha segnato un significativo passo nello sviluppo della democrazia e nella giustizia sociale nella nostra provincia che è stata, con poche altre realtà italiane, un punto di riferimento importante per l’innovazione nei servizi alle persone e, in special modo, di quelle che vivevano condizioni di forte marginalità e istituzionalizzazione.
I servizi per le persone con disabilità della nostra città, già dagli anni ’70 sono stati sostenuti, per la loro originalità e intelligenza, dalla Comunità Europa e per decenni hanno accolto studiosi di Università europee e degli Stati Uniti interessati alla proposta innovativa della integrazione sociale e dell’inserimento in contesti educativi a dimensione umana.
La spinta per la chiusura del manicomio di Colorno attraverso la promozione di piccole realtà localizzate sul territorio, il coinvolgimento delle comunità locali sia nelle forme istituzionali che spontanee per favorire il rientro di molti ricoverati nelle loro famiglie o in gruppi a dimensione familiare ha visto un forte impegno sia delle amministrazioni locali che delle forze sociali.
Allo stesso tempo, cresceva nella sensibilità di molte persone (insegnanti, medici, psichiatri, assistenti sociali, sindaci e assessori, familiari di persone disabili, ecc…) l’esigenza di risposte umane, alla umana sofferenza di quanti vivevano condizioni di vita in ambienti caratterizzati dalle forme delle istituzioni totali.
Su questo tema, Parma è stata coinvolta in un processo estremamente interessante governato in particolare dalla lungimiranza di Mario Tommasini che, proprio all’inizio degli anni 70, organizzava a Parma un Convegno sul tema della de-istituzionalizzazione, in cui venivano ricomprese sia le tematiche dei minori, dei bambini abbandonati nei brefotrofi, dei carcerati (in questi giorni ricorre il trentennale de “i ragazzi del federale” esperienza che anticipò la legge Gozzini sulle pene alternative al carcere), sia dei disabili anche in condizione di gravità, dei malati di mente, degli anziani soli e poveri abbandonati nei ricoveri.
Iniziative specifiche e sperimentali a sostegno di progetti di integrazione sociale dei disabili erano state avviate già alla fine degli anni ’60 nelle scuole di Parma che porteranno alla chiusura delle scuole speciali e differenziali in tempi molto precoci rispetto al contesto nazionale.
Contemporaneamente, il rientro a casa (o in piccoli gruppi a dimensione familiare) di molti giovani disabili e malati psichici ricoverati da anni in grandi Istituti, anche fuori provincia, venne favorito da percorsi di integrazione lavorativa e sociale. Lavorativa, tramite l’attivazione del Progetto CEE: progetto che la Comunità Europea sostenne finanziariamente in ragione del valore etico e sociale della proposta. Sociale, per il forte coinvolgimento delle realtà di volontariato, del sindacato e delle aziende pubbliche e private del territorio.
Gli anni successivi, caratterizzati per i bambini e adolescenti anche in condizione di gravità dalla progressiva integrazione scolastica, hanno visto la nascita di nuove realtà tese a rispondere ai bisogni delle persone con disabilità e delle loro famiglie in particolare di quelle i cui figli uscivano dal percorso scolastico e di quelle che presentavano condizioni personali o familiari che non consentivano più la loro permanenza continuativa nella loro casa. I bisogni dei singoli sono divenuti, progressivamente, bisogni sociali, riconosciuti dalle istituzioni locali e anche dalla normativa sia nazionale che regionale.
La nascita delle piccole cooperative sociali è stata espressione sia del riconoscimento di questi bisogni e del loro diritto ad avere accoglienza, sia della volontà di familiari e operatori di promuovere azioni e progetti assistenziali ed educativi fortemente condivisi. Sulla stessa linea di partecipazione e condivisione si sono mosse le istituzioni locali (Comuni e l’Unità Sanitaria Locale) sia nella programmazione che nella gestione dei nuovi servizi per i disabili: gruppi appartamento, centri socio occupazionali, centri socio riabilitativi residenziali e diurni … fino ad arrivare, in tempi più recenti a forme di sostegno forte alla domiciliarità sia propria che ‘altra’ con servizi di assistenza domiciliare, assegni di cura, progetti per la vita indipendente, coinvolgimento di familiari e vicini ma anche con il Progetto Le case ritrovate.
Nulla su di noi senza di noi è lo slogan che anima le associazioni delle persone con disabilità, oggi fatto proprio anche dalla Convenzione ONU sui loro diritti: è l’esplicitazione della volontà (ma oggi anche del diritto) ad essere protagonisti delle nostre vite, partecipi delle scelte politiche, attori delle decisioni perché solo così si sostiene l’obiettivo di uscire dalla segregazione, superare la marginalità, riappropriarci della libertà di scelta.
La storia dei Centri Varese e Lubiana, che è rappresentativa del lungo percorso di deistituzionalizzazione e di integrazione sociale promosso nella realtà di Parma anche sotto l’impulso di Mario Tommasini, non può essere rimossa: le associazioni insieme con i familiari delle persone che vi abitano la sostengono con forza lasciando che le storie individuali e collettive delle persone che vi abitano continuino a snodarsi negli ambienti e nei circuiti relazionali che li hanno accompagnati finora.
Siamo convinti che la struttura di via Casaburi possa divenire insieme un luogo di aggregazione e di assistenza destinato ad accogliere nuove storie e nuovi progetti di accoglienza per persone disabili e non solo, partendo anche dalla considerazione delle urgenze che il territorio presenta, sia per le realtà assistenziali che hanno problemi non superabili in tempi stretti sia per i nuovi bisogni che premono per essere riconosciuti nella loro legittimità.
Siamo consapevoli che stiamo parlando di servizi essenziali e di diritti connessi in questa città che ha sempre saputo costruire in modo consapevole ed intelligente una cultura di attenzione alle persone in situazione di difficoltà e di innovazione nella realizzazione delle risposte. Questo documento vuole fare memoria per quanti hanno collaborato alla sua costruzione e per coloro che più recentemente vi si sono inseriti affinché ne assumano consapevolezza per divenire cultura condivisa.
La mettiamo a disposizione anche di chi oggi amministra la città e ne dirige i servizi.
Le difficoltà economiche devono vedere un impegno sociale e politico che ponga maggiore attenzione a tutti coloro che vivono gravi difficoltà personali e familiari.
Crediamo ci sia bisogno di una riflessione aperta ponendo al centro le persone con disabilità, le loro famiglie e la loro domiciliarità, pur nella consapevolezza che situazioni personali gravi e condizioni familiari non più adeguate a farsene carico debbono trovare in ‘domiciliarità altre’ il loro progetto di vita.
Progetto, appunto… e non solo per via Casaburi.
La storia e i principi che l’hanno sostenuta sono il sistema di riferimento, la stella cometa, che dovrebbe muovere anche le nostre azioni nell’oggi e nelle difficoltà del momento.
Che abbia nella sua peculiarità l’obiettivo di costruire un sistema di inclusione che vada oltre la mera assistenza.
Che si viva come realtà di un territorio e con lui abbia frequenti ragioni di scambio.
Che tenga conto e valorizzi i diversi soggetti in campo: prima di tutto i diretti interessati e le loro famiglie, poi tutti coloro che ‘possono dare una mano’ sia in termini progettuali sia di sviluppo di iniziative volte al potenziamento delle possibilità di risposta diretta da parte dei soggetti attivi in quella comunità che si prende in cura i soggetti più fragili.
Che tenda a valorizzare la esperienza e la professionalità degli operatori con una speciale attenzione alla loro formazione, alla qualificazione e alla messa in campo di strumenti, anche innovativi e sperimentali, da confrontarsi con una comunità scientifica più allargata, in un rapporto più maturo e qualificato tra le esperienze praticate nelle diverse realtà, le competenze professionali specialistiche dell’AUSL e le nuove recuperabili sia in Centri di Formazione che nell’Università, anche sulla base di confronti intelligenti con altre realtà che hanno percorso nuove vie di sperimentazione nonché le associazioni, in collaborazione con le cooperative coinvolte.
Per via Casaburi sarà un processo lento e anche difficile se, in partenza, non si creano ragioni di presenza e di condivisione delle responsabilità tra i soggetti pubblici e del privato sociale nonché del volontariato.
Nello stesso tempo la struttura di via Casaburi, pur con i problemi che può comportare, non può non essere vista come una risorsa a fronte delle esigenze di cittadini che attualmente non trovano risposte adeguate perché ancora fuori dal sistema dei servizi oppure perché inseriti in luoghi non idonei al loro progetto di vita. Così come non si può pensare di non tenere a disposizione, per gli anni a venire, una risorsa di cui tra pochi anni si avrà certamente necessità in ragione del numero incrementale della popolazione con disabilità.
In questa logica, la preoccupazione per la struttura “Patrizia Ferri”, non dovrebbe essere quella di ‘averla tutta piena’ (solo perché così i costi generali di gestione verrebbero ripartiti su più persone) ma di andare a costruire un’ idea progettuale sulla base dei bisogni emersi e dei soggetti coinvolti: idea che tenga al suo interno sia la progettualità educativa individuale sia quella delle singole realtà che in essa possono trovare accoglienza, sia quella complessiva che coinvolge tutta la realtà sociale di quel territorio.
Si tratta, individuati i soggetti abitanti, di promuovere un progetto condiviso tra i loro gestori, soprattutto nella programmazione di servizi comuni e nella promozione dei rapporti con i soggetti significativi di quella comunità.
Ipotesi condivisa tra le associazioni, i familiari dei Centri Varese, Lubiana e cooperativa Insieme che si chiede di condividere e sostenere
Confidiamo che a questo punto la gestione dei due Centri (Varese e Lubiana) torni nel suo alveo naturale:
Il Centro Lubiana ha avuto l’adesione della Cooperativa Aurora Domus al contratto di servizio secondo quanto previsto dalle norme sull’accreditamento: si chiede che si proceda con la firma del Contratto di servizio affinché si ridoni serenità alle persone che lo abitano, ai loro familiari, agli operatori e alle operatrici
Centro Varese: riteniamo che l’amministrazione debba effettuare un ulteriore tentativo per favorire l’impegno della cooperativa Proges alla firma del contratto di servizio per via Varese, per una maggiore tutela delle persone che vi abitano e che vi lavorano.
Le due strutture vanno messe nella condizione di una maggiore efficienza assicurando la possibilità di incrementare le presenze diurne così come già previsto dal processo di accreditamento (fino ad un massimo di 5 al Centro Varese, un massimo di due al Centro Lubiana), facendosi carico, almeno per i bisogni compatibili, delle persone in attesa di servizio e costruendo sinergie collaborative tra le due realtà anche al fine di ridurre costi impropri.
Di fronte a questa prospettiva, se la cooperativa Proges persistesse nel suo diniego alla gestione del Centro Varese, occorre che l’Ufficio di Piano, come previsto dalla Direttiva regionale 514 / 2009, apra le procedure per il suo accreditamento provvisorio (avviso pubblico con tipologia del servizio da accreditare e requisiti richiesti per la gestione; raccolta delle manifestazioni di interesse alla gestione del servizio da accreditare; invito a favore di almeno 5 soggetti che abbiano manifestato interesse e siano ritenuti soggetti qualificati; selezione tramite gara informale).
Per via Casaburi:
lato nord al piano terra, attualmente vede la presenza, di un Centro diurno accreditato dalla Cooperativa Aurora Domus (8 posti)
Lato nord, 1° piano: Ampliamento dell’attività di Aurora Domus con Centro Socio Riabilitativo Residenziale per 5/6 persone con disabilità gravi attualmente ospitate presso strutture ubicate fuori comune e a totale carico della sanità in quanto affetti anche da problemi psichici. Mantenimento di 1 posto per accoglienze temporanee o per l’emergenza.
Per la cooperativa Insieme si conferma la inderogabile necessità di trovare una soluzione diversa rispetto alla Struttura di Gaione e nella struttura Patrizia Ferri (Casaburi) potrà trovare adeguata sistemazione sia per la residenzialità che per il servizio diurno, in particolare:
ala sud – ovest, piano terra,: Centro socio riabilitativo Casa Senoi, per un massimo di 8 persone (attualmente sono 3 diurni, che potrebbero essere incrementati dalle persone in lista di attesa)
ala sud – ovest, 1° piano, ala sud ovest: Centro socio riabilitativo residenziale Casa Senoi (già Gaione) per 7 persone, con possibilità di chiedere autorizzazione per massimo 9 posti
Soprattutto nella fase iniziale, finché non si creeranno le prospettive di uno sviluppo delle attività ed un incremento delle presenze (sia sul residenziale che sul diurno) alla cooperativa Insieme dovranno essere addebitati costi (in particolare per affitto ed utenze) compatibili con le entrate già in essere.
La struttura di via Casaburi potrà divenire luogo di sperimentazione di un nuovo modello di collaborazione tra espressione di piccole realtà cooperative e una cooperativa sociale ‘grande’ in cui le potenzialità specifiche vengano riconosciute e reciprocamente valorizzate, in particolare, il confronto sulle progettualità, l’implementazione di processi produttivi, di programmazione e valutazione degli interventi e delle attività, la valorizzazione del volontariato sia di prossimità che di quello presente nel quartiere, l’attivazione di esperienze ed attività di scambio con il territorio, la messa a disposizione degli abitanti di servizi della comunità aperti al territorio, la valorizzazione dello spazio esterno … aperto ad attività diverse a favore del quartiere e della città.
Su questa ipotesi, riteniamo che sia i familiari delle diverse realtà che le associazioni e le cooperative coinvolte possano venire inserite in un processo di coinvolgimento che tornerà a beneficio della città e delle persone che abiteranno le strutture.
Anche per i Centri Varese e Lubiana chiediamo che i soggetti gestori, in collaborazione con i familiari e le associazioni si facciano promotori di uno scambio più efficace con i territori in cui insistono, sia promuovendo attività aperte al fuori, sia facendosi coinvolgere in attività promosse sul territorio.
Da ultimo: nei prossimi mesi andrà affrontato il tema della programmazione dei servizi in vista dei bisogni che emergeranno nei prossimi anni, in modo da sollecitare gli organismi del Distretto a condividere e assumere le iniziative che si riterranno necessarie a mantenere alto e qualificato il livello di servizi a favore delle persone con disabilità nella nostra città e nella provincia.
Nel rispetto delle competenze istituzionali, riteniamo necessario che i Comuni capo distretto con la Provincia e l’Ausl si facciano promotori degli Stati generali sulla disabilità, partendo dai tavoli dei Piani di Zona, allargati il più possibile ai diversi soggetti interessati, per disegnare, in un quadro progettuale condiviso, il futuro delle persone con disabilità del nostro territorio.
Fondazione Mario Tommasini
Per le associazioni:
ANMIC – Alberto Mutti
ANFFaS – Carlo Passeri
Fa.Ce. – Annalisa Gabbi
ALBA – Bruna Bucci Guerra
Ass. Traumi – Casa Azzurra (con nota integrativa che si allega)
L’Abbraccio – Ursomanno Alessandro
Nontiscordardimè – Ombretta Coruzzi
Per i familiari:
Centro Varese, Mirella Chilò
Centro Lubiana, Enza Pellacini
Cooperativa Insieme, Giovanni Giuffredi