Presentazione 3

Presentazione a “Definizioni di disabilità in Europa: un’analisi comparativa Rapporto della Commissione Europea”

La Commissione Europea – Dirczione Generale per l’Impiego e gli Affari Sociali – nel 1999 ha bandito una gara pubblica di appalto per uno studio sul terna ” Analisi compara­ tiva e valutazone delle implicazioni politiche delle varie definizioni giuridiche della disa­ bilità sulle politiche destinate ai disabili ” Quanto sopra nella consapevolezza che tra gli Stati Membri, e anche all’interno dei singoli ordinamenti giuridici, non vi sia un solo modo di definire la disabilità e di identificare i beneficiari o i gruppi destinatari di presta­ zioni e di servizi.

I problemi di definizione della disabilità sono essenziali anche per comprendere i modi in cui le finalità e gli sviluppi di questo particolare settore politico interagiscono con quel­ li di altri ambiti, quali le politiche anti – discriminatorie, i programmi di sostegno al red­ dito e le politiche generali riguardanti il mercato del lavoro. Le definizioni hanno inoltre importanti implicazioni sulla mobilità dei disabili tra i vari Stati Membri. Il fatto che le definizioni dei criteri per la determinazione della disabilità previsti dalle varie normative nazionali differiscano notevolmente, costituisce un grave ostacolo al riconoscimento reci­ proco delle decisioni nazionali riguardanti la disabilità, per cui i disabili che si muovono M’interno dell’ Unione rischiano di dover subire gravi svantaggi per quanto riguarda la sicurezza sociale o altri settori.

L’ANMIC, in una Conferenza Internazionale, organizzata con la FIMITIC, (una delle grandi Associazioni non governative europee, cui l’ANMlC stessa aderisce) su ” La poli­ tica sociale dell’ Europa verso i bisogni delle persone con disabilità “, nell’aprile del 2003, Anno Europeo del disabile, ha già avuto modo di mettere in evidenza il problema e di auspicare un approccio valutativo comune europeo per il superamento dello stesso e comunque per la migliore individuazione dei bisogni e una migliore realizzazione del dirit­ to all’integrazione sociale, alla partecipazione, alla vita autonoma della persona disabile, ovunque si trovi all’interno della Unione.

Appare evidente che nella nuova Europa della moneta unica, della libera circolazione dei cittadini, ogni differenziazione esistente nei vari sistemi di assistenza in materia di disabilità, che siano di difficile comparabilità, può mettere in seria difficoltà e in crisi lo stesso diritto di cittadinanza europea della persona disabile, per la quale, è noto, troppi aspetti della propria vita sono collegati alla definizione ed alla valutazione della disabilità: misure socio sanitarie, formazione, lavoro, accesso, accessibilità ecc… In sostanza la diver­ sità dei sistemi esistenti, ancora più da verificare con il prossimo allargamento del nume­ ro dei Paesi Membri, può costituire per una non indifferente parte di cittadini che si muove all’interno dell’ Unione, un ostacolo alla realizzazione di quegli stessi obiettivi della Unione, quali la realizzazione delle pari opportunità, la promozione di un elevato livello di promozione sociale, il miglioramento stesso della qualità della vita.

In occasione della Conferenza di cui sopra, si è fatto anche espresso riferimento allo studio allora in corso di elaborazione, che avrebbe potuto offrire un quadro più comple­ to della situazione e maggiori e più aggiornati elementi di valutazone sulle situazioni esistenti nei vari Paesi Membri.

Detto rapporto è stato pubblicato nel mese di dicembre nella versione inglese. L’AN- MIC, data l’importanza, per tutti i motivi su esposti che la rilevazione può assumere per i disabili, ha ritenuto di procedere alla traduzione in italiano del rapporto dal tìtolo defi­ nitivo “Definizioni di disabilità in Europa; Un’analisi comparativa”, realizzato dalla Brunel University, aggiudicataria della gara di appalto e di distribuirlo agli addetti ai lavori, istituzionali e non, per una seria comune riflessione sul problema e per ogni even­tuale iniziativa e proposta nei confronti della Commissione Europea.

Il rapporto fa un resoconto analitico e descrittivo delle principali definizioni utilizzate nei 15 Stati Membri, attraverso lo studio delle loro politiche sociali, con particolare riferi­ mento alle leggi anti – discriminazione, alle misure occupazionali e ai regimi delle quote, ai programmi di sostegno del reddito o di ammissibilità ai servizi di sostegno, riscontran­ do definizioni diverse della disabilità nei vari settori programmatici succitati. Sempre su indicazione della Commissione, che aveva segnalato la tendenza del passaggio dal model­ lo medico a un modello di disabilità di tipo sociale, uno degli obiettivi dello studio è stato quello di individuare i modi diversi in cui gli Stati Membri hanno interpretato e imple­ mentato questo passaggio attraverso la formulazione delle loro definizioni di disabilità .

Lo studio ha preso in esame le definizioni di disabilità nel contesto dei vari provvedi­ menti sociali. Il capitolo 3 – “Definizioni di disabilità in politica sociale” – analizza le norme relative ai settori di assistenza nelle attività quotidiane, nella salvaguardia del red­dito e nei provvedimenti occupazionali, evidenziando per ciascuna area il tipo di collega­ mento tra lo stato di salute del disabile, l’abilità a svolgere le attività di base, i bisogni del soggetto e altri elementi, variabili a seconda delle normative esistenti, che entrano in con­ siderazione con lo stesso.

Nel capitolo 4″-Analisi dei processi di valutazione della disabilità”- si analizzano le modalità con le quali i singoli individui vengono valutati per entrare nelle categorie di disabilita. Il rapporto presenta una tipologia di processi di valutazione della disabilità, definiti in due dimensioni, cioè dal punto di vista dell’esame medico e dal grado di discre­ zionalità esercitata dai responsabili delle decisioni. Modelli diversi si riscontrano nella pre­ videnza sociale, nell’assistenza sociale, nella fornitura di servizi sociali e nella politica occupazionale. In generale non è possibile parlare di determinazione della disabilità in termini di modelli nazionali.

Sulla base delle diversità riscontrate nei vari Paesi gli autori della ricerca sono perve­ nuti alla “teorizzazione” di quattro tipi di modelli (A, B, C e D).

Il modello “A” caratterizzato “da bassa evidenza medica ed alta discrezionalità”, il “B” “da bassa evidenza medica e bassa discrezionalità”, il “C” “da alta evidenza medica ed alta discrezionalità”, il “D” “da alta evidenza medica e bassa discrezionalità” I sistemi che tolgono enfasi all’evidenza medica (modelli A e B) si basano molto sul criterio dell’attinenza alla politica sociale. I modelli C e D sono quelli con più elevato orientamento medico.

La conclusione cui pervengono gli autori della ricerca, peraltro, è che in politica socia­ le non esiste un metodo ideale per tracciare i confini tra persone disabili e non.

Nel capitolo 5 -“Disabilita e discriminazione”- lo studio prende in esame il rapporto tra “disabilità” e “discriminazione”. Nel novembre del 2000 l’Unione Europea ha emana­ to direttiva con la quale ha messo al bando qualunque discriminazione nell’impiego e nel­ l’occupazione, basata sulla religione, sul credo, sulla disabilità, sull’età, sull’orientamento sessuale (direttiva per il trattamento paritario: FETD). Nello studio vengono esaminate le misure antidiscriminazioni esistenti e viene analizzato il modo in cui la politica antidi­ scriminatoria possa interagire con le altre politiche per combattere gli ostacoli che i disa­ bili devono affrontare per ottenere e mantenere un impiego. Vengono prese in esame in par­ ticolare alcune situazioni in Paesi che hanno recentemente varato leggi contro la discri­minazione. Il risultato dell’analisi è innanzitutto la diversità delle definizioni di disabilità, più o meno restrittive a seconda dei Paesi, e la diversità sul concetto di parità (parità delle opportunità e parità dei risultati).

L’esame delle leggi ha evidenziato che parecchi Stati forniscono un supporto finanzia­rio ai datori di lavoro per contribuire alla sistemazione dei disabili.Questo coinvolgimen­ to economico può servire a favorire I ‘accettazione delle leggi anti-discriminatorie da parte dei datori di lavoro.

Il capitolo 6- “Libertà di movimento per i disabili”- acquista particolare importanza, considerato che l’interesse alle definizioni della disabilità da parte della Commissione Europea scaturiva da una serie di preoccupazioni tra le quali specificamente veniva evi­ denziata la mancanza di un riconoscimento reciproco delle decisioni nazionali in merito alla disabilità e il conseguente negativo impatto sui disabili che si spostano all’interno della Unione.

Nel capitolo sono analizzate le varie situazioni che vengono a crearsi per i disabili sulla base degli esistenti provvedimenti restrittivi concernenti il diritto di residenza, l’esporta- bilità dei benefici, il reciproco riconoscimento delle decisioni sui diritti alle prestazioni e le conseguenze che ne derivano ai disabili in rapporto all’accesso alle prestazioni economiche ed ai servizi.

Di particolare interesse le appendici finali che illustrano analiticamente le situazioni esistenti nei vari Paesi sotto tre fondamentali aspetti e precisamente:

1) La valutazione dell’incapacità o inabilità al lavoro,che viene analizzata sotto questi titoli: provvedimenti di assistenza, decisioni, acquisizione dell’inabilità al lavoro, responsabi­ lità del datore di lavoro, riabilitazione, valutazione (diagnosi, menomazione, descrizioni stan­ dardizzate della capacità fisica o mentale, della vita lavorativa, della vita quotidiana, abilità o requisiti lavorativi specifici della persona, circostanze personali e sociali specifiche della per­ sona), strutture istituzionali e personale, permeabilità dei confini: età, svantaggio sociale.

2) Le definizioni di servizi per l’impiego, analizzati sotto diversi fattori: provvedi­ menti di assistenza, responsabilità istituzionali e collegamenti, incentivi e requisiti per partecipare alle misure, valutazioni (decisioni, criteri, personale, regole e strumenti, osservazione nel contesto, ruolo del disabile, ruolo del datore di lavoro), aspetti specifici introdotti dai Paesi.

3) Le definizioni dell’assistenza nelle attività di vita quotidiana e promozione della vita indipendente, esaminate sotto questi aspetti: provvedimenti di assistenza (responsa­ bilità istituzionali, natura dei bisogni soddisfatti, natura della fornitura, collegamenti con altre definizioni di disabilità, limiti di età, test di accertamento delle fonti di reddito e delle risorse, co-finanziamento), procedure di valutazione (definizione generale, menomazioni specifiche, personale, regole e strumenti, osservazione nel contesto, ruolo del disabile), aspetti specifici esistenti nei vari Paesi.

In conclusione in ogni Stato Membro sono stati trovati differenti modelli di valutazio­ ne della disabilita nelle diverse aree di prestazioni e servizi. Del resto anche nel nostro Paese esistono, nell’area della disabilità, tre diversi tipi di valutazione: valutazione delle menomazioni ex tabelle indicative di percentuale di invalidità del 1992 per l’ottenimento di pensioni, assegni e indennità; valutazione dell’handicap per benefici e prestazioni ex lege 104/92; valutazione della “disabilità” per il collocamento mirato, ai sensi della legge 68/’99. In sostanza è confermato che la disabilità è vista diversamente a seconda delle diverse aree di politica sociale e talora anche all’interno della stessa area.

Questo può rendere più impegnativa qualsiasi operazione di armonizzazione, di coor­ dinamento o di comparabilità dei sistemi. Sembra difficile (ma lo è davvero?) pervenire a un metro comune europeo di definizione e soprattutto di valutazione della disabilità. La ICF, sottoscritta da 191 Stati, sembra poter essere un buon punto di partenza e riferimen­ to. Ma ci sono ovviamente alternative quali l’estensione dei diritti di residenza, l’amplia­ mento del concetto di “famiglia” ai fini dell’unificazione familiare, I’ eliminazione di norme restrittive sulle “persone a carico”, l’esportabilità delle prestazioni economiche a favore dei disabili, per facilitare la libertà di movimento delle persone con disabilità.

Si tratta in conclusione di operazioni fattibili, se la volontà degli Stati Membri è effet­ tivamente rivolta a eliminare qualsiasi tipo di discriminazione o di svantaggio e a consen­ tire davvero a tutti il pieno esercizio del diritto di cittadinanza europea.

Noi siamo fiduciosi che gli Organi istituzionali nazionali ed europei e le Associazioni dei disabili, anche esse sia a livello nazionale che europeo, possano operare insieme perché siano posti in essere provvedimenti idonei ad eliminare o quanto meno limitare gli svantaggi esistenti e migliorare, pertanto, la condizione dei disabili che intendano muo­versi all’interno dell’ Unione.

Giovanni Pagano

Presidente Nazionale dell’ANMIC