A proposito dell’incendio divampato lo scorso 14 agosto nella “Casa di Arianna” di viale Tanara, gestita dalla cooperativa “Il Quartiere di Avitas”, Anmic Parma (Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi Civili), a poco più di una settimana dalla tragedia, e lasciato passare il doveroso tempo per il cordoglio per la vittima Adreana Borella, interviene per fare e chiedere chiarezza su alcuni aspetti della vicenda.

“Abbiamo voluto aspettare qualche giorno, per non farci condizionare dall’inevitabile emotività dettata dalla scomparsa di Adreana – premette Walter Antonini, presidente di Anmic, la più grande associazione di tutela e rappresentanza delle persone con disabilità -. Alla luce delle indagini in corso, dal lavoro dell’autorità giudiziaria attendiamo risposte, insieme agli ospiti e ai loro famigliari che ci hanno fatto pervenire, dal 2018 e fino a qualche settimana prima del tragico avvenimento, diverse segnalazioni su gravi inefficienze da parte della struttura nell’erogazione dei servizi, sia a livello assistenziale, sia a livello relazionale. Tutte segnalazioni che abbiamo puntualmente, e in ogni occasione, riportato alle istituzioni preposte ai controlli, nonché, in un caso, alla stessa amministrazione della cooperativa, ricevendo come riscontro motivazioni superficiali e di carattere meramente economico. Anche per questo ci chiediamo: i conclamati problemi finanziari che la cooperativa da tempo attraversa hanno inciso sulla quantità e la qualità dell’assistenza agli ospiti della ‘Casa di Arianna’?”. Sarà l’autorità giudiziaria a stabilire eventuali responsabilità, ma non accettiamo, alla luce delle tante segnalazioni arrivate negli ultimi anni, di leggere sulla stampa, da parte degli amministratori della cooperativa, dichiarazioni circa la modernità e l’innovazione di quel modello di assistenza. Dov’è la modernità se si ritorna a sistemi per cui un numero elevato di persone fragili, ben quarantacinque, viene concentrato in un’unica struttura? Tanto che a suo tempo avevamo chiesto una diversa gestione della “Casa di Arianna”. Dobbiamo immaginare un sistema di co-housing sociale, dove le persone fragili non vengono ghettizzate in quattro condomini, ma vivono in contesti condominiali nei cui appartamenti vivono anche nuove famiglie e studenti, per un abitare che diventa un intreccio di relazioni e di attenzioni tipiche di una comunità coesa e inclusiva”.

“I continui tagli al welfare comportano l’affidamento di alcuni servizi ai privati, soluzione ritenuta ormai ineluttabile – osserva il presidente di Anmic -. Risulta quindi fondamentale che almeno i controlli e, soprattutto, la formazione del personale, rimangano in mano pubblica, anche dei posti non in convenzione, affinché non si verifichino sperequazioni tra cittadini. L’autorizzazione alla ‘Casa di Arianna’, tra l’altro, è relativa a una Scia presentata troppi anni fa. Sosteniamo pertanto la necessità di rivedere il regolamento comunale per l’apertura di tali case-famiglia e altre strutture: siamo a disposizione per offrire il nostro contributo, insieme, ne siamo sicuri, alle tante anime che si occupano di sociosanitario nella nostra comunità. Confidiamo sul fatto che entro fine anno, come dichiarato dall’assessore alle Politiche Sociali, Ettore Brianti, il nuovo regolamento venga portato in Consiglio comunale affinché a Parma non ci siano mai più strutture con queste caratteristiche e che si possa attuare in maniera condivisa il Patto Sociale per Parma, che prevede un nuovo modello di assistenza e dell’abitare lontano dalla ghettizzazione di 45 persone molto fragili in un unico contesto”.